Paolo Torresan svolge attività di ricerca e formazione. Ha lavorato presso presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università di Lancaster, L’Università dello Stato di Rio de Janeiro e il Santa Monica College in California. Per ALMA Edizioni ha firmato Giochi senza frontiere (con Roberta Ferencich, 2005) e NUOVO Canta che ti passa (2013) e ha partecipato alla stesura di Domani 2 e 3 (2012).
È responsabile didattico di officina.it.
La struttura dell'approccio globale
di Paolo Torresan
Premessa
Il Manifesto dell’approccio globale (vedi sezione "extra") integra istanze che provengono da diverse discipline (come si evince dalla mappa disponibile nella medesima sezione), nell’ottica di rappresentare uno sviluppo di quella parabola comunicativa che cominciò nella didattica dell’inglese più di trent’anni fa.
In questo senso, l’approccio globale equivale a dire: approccio autenticamente comunicativo. Se ben si tengono fermi, infatti, alcuni punti di riferimento propri della stagione comunicativa, si aggiungono piste e suggerimenti che sono venuti maturando, appunto, in questo trentennio.
Il termine globale allude, quindi, a una visione di sintesi. Sintesi metodologica, prima di tutto, visto che gli autori sono lesson designer, ma altresì pedagogica: è l’intenzione di ricucire apprendimento e acquisizione, corpo e logica, lingua e comunicazione, grammatica e testo, io e gli altri, insegnante e studente, sostegno e autonomia, alla luce di quella esigenza di equilibrio e di armonia che uno tra i più fini interpreti della didattica umanistica rappresentava come la stella polare dell’insegnamento (Stevick 1990).
Le sezioni
Il manifesto si compone di 10 punti, e questi a loro volta si possono raggruppare in tre sezioni:
- Apprendimento (1, 2, 3, 4)
- Lingua (5, 6, 8)
- Relazione insegnante-studente (7, 9, 10).
Sezione A. L’apprendimento
1
Gli autori manifestano l’esigenza di tenere in considerazione, nell’atto di selezionare e presentare materiale linguistico, la ‘periferia’ dell’evento comunicativo:
immersione totale all’interno di un mondo,
nella complessità della sua lingua ma anche nei suoi colori,
sapori, odori, nelle sue contraddizioni e nelle sue singolarità
L’attenzione al contesto, cara agli autori ALMA, pare sia un debito alla suggestopedia, per quanto l’inciso finale di questa prima proposizione, relativo alle contraddizioni e alle singolarità, faccia riferimento a quel mondo di valori (la cultura) che non ha avuto, a nostro dire, ancora una sistematizzazione chiara e consapevole in nessun metodo/approccio.
Vogliamo precisare a margine: la memoria – le neuroscienze ci insegnano – è rete di associazioni, e si nutre di dettagli (Sabatano 2004). Ciò che ricordiamo (e quindi ciò che impariamo) sono dettagli (sensazioni, pensieri, emozioni) collegati tra di loro; quindi, quante più sono le associazioni collegate a un ricordo, tanto più una traccia è stabile.
Possiamo, insomma, denominare questo primo punto come una dichiarazione del fatto che l’apprendimento sia sempre situato; maggiore è la ridondanza, maggiore è la ritenzione.
2
La seconda proposizione può essere vista come un corollario della prima: se è vero che la lingua è in contesto, occorre coinvolgere i sensi.
Di multisensorialità si parla in ambito psicologico da più di mezzo secolo; in ambito pedagogico, il tema era già stato al centro delle discussioni delle scuole attive di inizio 900 (in realtà, possiamo risalire a ritroso al concetto di educazione sostenuto da Rousseau), tra le quali spiccano le esperienze condotte da Maria Montessori.
coinvolgimento multisensoriale,
attraverso esperienze di apprendimento capaci di tenere costantemente
alta l’attenzione e di creare un percorso di studi sempre vario,
nuovo e ricco di interesse
Un concetto allargato di multisensorialità lo si ritrova, peraltro, in tempi assai più vicini a noi, nella teoria delle intelligenze di Howard Gardner.
Il fatto di sottolineare, al termine della proposizione, l’importanza della varietà e della novità (due termini correlati, se non addirittura sovrapponibili) è in sintonia con il manifesto dell’insegnamento creativo, che in questo anno ha fatto discutere di sé nella didattica dell’inglese (Pugliese 2012).
In definitiva la seconda proposizione può essere ribattezzata come una dichiarazione dell’importanza della multisensorialità (in luogo di un insegnamento astratto o monosensoriale) e della divergenza.
3
Il punto 3 pare una ripetizione del precedente:
considerare e favorire i diversi stili di apprendimento,
attivando ogni volta un diverso canale percettivo e un diverso tipo di attenzione
se non fosse che il concetto di stile è più ampio di quello relativo alla multisensorialità.
Possiamo, per esempio, essere più analitici, riflessivi o più impulsivi e olistici.
C’è da dire che su questo punto il manifesto si smarca dall’ingenuità di un primo approccio comunicativo che privilegiava l’importanza del comunico-comunque, e in generale sacrificava le esigenze dello studente analitico e di quello introverso (il quale avverte un bisogno di stare con sé, di elaborare la lingua dentro di sé, che i suoi tempi vengano rispettati, che gli sia data l’opportunità di ritornare e sistematizzate quanto detto, compreso o analizzato).
Potremmo ridefinire questa proposizione come una dichiarazione delle differenze individuali.
4
Il quarto punto distacca l’importanza del corpo, inteso come sistema complesso di funzioni:
mettere al centro dell’apprendimento il corpo,
inteso come sistema integrato di funzioni
in cui piano cognitivo e piano sensoriale
sono strettamente correlati
Il focus sul corpo è implicito nei punti precedenti. Qui è distaccato presumibilmente data l’importanza che la dimensione fisico-pratica riviste nei processi di apprendimento. In ambito neuroscientifico è un punto su cui gli esperti concordano; muoversi è muovere la mente (Ratey 2000; Jensen 20052; Howard-Jones 2011).
Si pensi: il cervelletto, deputato al controllo motorio, posto nella parte posteriore del cervello, pur occupando un decimo del volume del cervello, contiene la metà di tutti i neuroni (Ivry, Fiez 2000). È complesso: 40 milioni di fibre nervose; 40 volte tanto, cioè, di quelle dell’altrettanto complesso nervo ottico. Tra il cervelletto e le altre aree c’è una fitta comunicazione di dati verso le altre aree del cervello (la maggioranza) e dalle altre aree verso lo stesso cervelletto (Middleton, Strick 1994); e si badi: molte di queste piste neuronali, su cui viaggiano le informazioni, sono le stesse che veicolano i processi di apprendimento.
Il quarto punto è dunque una dichiarazione dell’importanza della corporeità.
Sezione B. La lingua
5
Il quinto punto annuncia:
porre l’accento sulla dimensione testuale della lingua,
nella convinzione che un testo contiene una miriade di elementi
significativi che acquistano senso unicamente nel momento
in cui vengono pronunciati o scritti
Con la stagione comunicativa la lingua non è intesa come un aggregato di parole, così come un elefante non è la somma di proboscide, zanne e fisico possente. La lingua piuttosto è organismo, nella forma della testualità; sistema altamente complesso, che si sovraordina alle parti. In altre parole, lessico e strutture ricevono una loro giustificazione all’interno dell’evento comunicativo.
Vi si potrebbe aggiungere che una didattica autenticamente comunicativa si propone non solo di recuperare il testo come input, come oggetto di comprensione (il quale, nell’ottica di Krashen, da solo basterebbe per far acquisire la lingua, e quindi costruire la competenza), ma valorizza anche il testo come output, dal momento che, nell’atto di produrre un testo, lo studente mette alla prova la sua interlingua, ne saggia la tenuta, a fronte delle conoscenze grammaticali che possiede e misurando la distanza tra quanto prodotto e un testo realizzato dai nativi che vale come modello (Swain 1995).
Con buona pace per Krashen, l’input è condizione necessaria ma non sufficiente per acquisire una lingua; intendendo per acquisizione un possesso che si estrinseca anche mediante la comunicazione con gli altri.
6
Negli anni ’90 in ambito inglese Michael Lewis ha posto le basi dell’approccio lessicale. In realtà si tratta, più modestamente, di un appello a una rinnovata attenzione al lessico, inteso non come somma di lemmi (così come lo è un dizionario) ma come rete di significati che si attraggono allo stesso modo con cui si comportano gli elementi all’interno di un composto. Di conseguenza, la grammatica non è solo morfologia o sintassi ma è anche definita dal potere collante delle parole, che origina chunks, ovvero blocchi prefabbricati, nella forma di routine (Ciao ciao ciao a fine telefonata), di frasi istitituzionalizzate (Prego, si accomodi), di collocazioni, in genere (capelli castani), di modi di dire (in bocca al lupo), ecc.
Trattare lessico e grammatica
come categorie connesse in modo indissolubile,
in contrapposizione a qualunque visione atomizzante e divisionista della lingua
Ripetiamo: l’idea di Lewis non ha avuto modo di costruirsi come approccio, nonostante le intenzioni dell’autore, ma ha segnato comunque una via che, da allora, nessuno che si occupi di metodologia può fingere di non considerare.
8
La proposizione di cui abbiamo parlato sopra (6), vale a dire il legame lessico-grammatica, può essere vista come un caso particolare della proposizione 8, secondo la quale non si dà una grammatica ma si danno molte grammatiche, collegate le une alle altre.
affrontare la lingua come un sistema organico,
disegnando percorsi di studio che restituiscano in tutta
la loro pienezza la pluralità di elementi che ogni volta entrano in gioco
nella comunicazione (aspetti morfologici e sintattici, ma anche pragmatici, conversazionali, lessicali, socioculturali, interculturali)
Morfosintassi, lessico, fonologia, prosodia, analisi del discorso e più in generale testualità sino a quelle dimensioni invisibili che raggiungono i territori della psicologia e della sociologia, quali sono la pragmatica e la dimensione culturale, costituiscono la materia prima della riflessione linguistica (noticing).
Si dirà che è un recupero di istanze lontane; l’idea complessa di lingua è, in effetti, alla base dello stesso approccio comunicativo. Tuttavia il richiamo che fanno gli autori ALMA ci pare cada in terreno fertile anche oggi; l’esperienza ci dice come – più di quanto si possa essere portati a credere – in molte parti del mondo si continui a insegnare secondo sillabi grammaticali; ci si concentri cioè solo sulle strutture morfologiche, da testare periodicamente mediante test facili da somministrare e rapidi da correggere.
Sezione B. La relazione
7
Il punto 7 è densissimo:
sfidare lo studente ad elaborare ipotesi
attraverso modalità cooperative
che gli consentano di raggiungere livelli di competenza
inizialmente considerati inarrivabili
Le parole chiave sono: sfida, ipotesi, cooperazione.
In ordine.
Sfida. Il concetto richiama l’idea di scaffolding (impalcatura) introdotta in pedagogia da Bruner. Compito dell’allievo è aggredire (etimologicamente, andare verso) l’oggetto di apprendimento; l’insegnante può facilitare tale azione ‘aggressiva’, mediante l’allestimento di percorsi, che valgono a sostenere l’apprendente e a infondergli sicurezza. Se lo scaffolding è eccessivo, però, la sfida viene meno; i compiti possono risultare, agli occhi dell’allievo, ripetitivi e banali. In questo senso lo scaffolding ottimale è un q.b. – formula di cucina: quanto basta – vale a dire quel che basta per promuovere la voglia dell’allievo di cimentarsi da solo in nuovi compiti.
Ipotesi. Anziché applicare regole pre-confezionate, l’allievo può svolgere attività di scoperta della lingua (ipotesi), che gli permettono, una volta compreso un testo, di raffinare sempre più la propria conoscenza dichiarativa (cioè il fatto di sapere com’è fatta la lingua).
Cooperazione. L’allievo non è solo; può contare sull’appoggio dei compagni; è con loro e grazie a loro che produce lingua, risolve problemi, negozia significati, palesa idee, in una sola parola: impara. Alle spalle di ogni idea cooperativa, leggasi il concetto di zona di sviluppo prossimale di vygostkiana memoria: la “zona” è nient’altro che la relazione, e lo “sviluppo” è determinato dall’entrare stesso in relazione.
9
La proposizione 9 recita:
considerare lo studente
come il protagonista del processo di apprendimento
coinvolgendolo in prima persona nel ruolo di ricercatore/esploratore
Che lo studente sia al centro dell’apprendimento, è un refrain che si sente spesso dire, dagli anni 90 in poi. Ma se lui è il centro, chi occupa la periferia? L’insegnante?
La domanda è provocatoria: sottolineiamo come nell’ottica dell’approccio globale il centro non è né l’uno né l’altro, ma la relazione tra l’uno e l’altro.
Il ricordo va a Caleb Gattegno (padre del Silent Way), a detta del quale occorre che l’insegnante si avveda delle potenzialità cognitive di chi gli sta davanti (“lo studente sa molto di più di quello che tu pensi lui sappia”); consideri l’errore come una molla e non come un ostacolo (“un dono fatto alla classe”) e consenta libertà nell’accesso ai/elaborazione dei significati di un testo (“occorre liberarci dalla tirannia della risposta corretta”).
10
Una finestra aperta, così è l’ultimo punto:
restituire all’insegnante il piacere dell’insegnamento
C’è la consapevolezza che la motivazione sia un costrutto dinamico e complesso (cambia nel tempo ed è sensibile a molti fattori), e soprattutto che non riguardi solo lo studente ma anche il docente.
Quali azioni è possibile promuovere per sostenere la voglia di insegnare da parte di chi insegna? Nel nostro intervento video alla giornata ALMAXXI 2013 (disponibile qui) abbiamo suggerito un modello divergente mirato a rivitalizzare la pratica docente: la didattica come trama.
Riferimenti bibliografici
Howard-Jones, P., Introducing Neuroeducational Research: Neuroscience, Education and the Brain from Contexts to Practice, Routledge, London, 2009.
Ivry, R., Fiez, J., “cerebellar Contributions to Cognition and Imagery”, in M. Gazzaniga (ed.), The New Cognitive Neurosciences, MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 999-1011, 2000.
Jensen, E., Teaching with the Brain in Mind, Alexandria, Virginia, Ascd, 20052.
Middleton, F.; Strick, P., “Anatomical Evidence for Cerebellar and Basal Ganglia Involvement in Higher Cognitive Functions”, Science, 266, 458-461, 1994.
Pugliese, C., “Manifesto for Creative Teaching”, Humanising Language Teaching Journal, 14, 6, 2012.
Ratey, J., Spark: The Revolutionary New Science of Exercise and the Brain, Little, Brown and Company, New York, 2008.
Sabatano, C., Come si forma la memoria, Carocci, Roma, 2004.
Stevick, E., Humanism in Language Learning. A Critical Perspective, Oxford University Press, Oxford, 1990.
Swain, M., “Three Functions of Output in Second Language Learning”, in G. Cook; B. Seidhofer (eds.), Principles and Practice in Applied Linguistics: Studies in Honour of H. G. Widdowson, Oxford University Press, Oxford, 125-144, 1995.